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Continuiamo a navigare fino a Casablanca

27 September 2013 ore 18:00

di Filippo Mennuni.


Giorgio è montato di guardia un'ora fa. Bisogna fare delle scelte. La rotta diretta verso le Canarie è impossibile perchè il mare e il vento vengono proprio di la.

Opzione verso il largo? Oceano aperto. La prua ci propone Madeira, 700 miglia più a ovest. All'opposto, con rotta a Sud Est, il Marocco, con due opzioni: Rabat e Casablanca. Rabat ha un marina attrezzato e moderno, ma soli quattro metri di fondale all'ingresso che arrivano a sei con alta marea. Li chiamo e mi confermano che potremmo tentare l'ingresso, ma solo alle 10 e 10 di domattina, ad alta marea, perchè il mare frange all'ingresso con onde da tre a quattro metri il rischio e che se manchiamo il surf Adriatica si pianti sul fondo esplodendo letteralmente. Restiamo d'accordo che li avviserò delle nostre decisioni.

Casablanca, porto industriale con otto metri di profondità all'ingresso e moli adatti a ricevere porta containers. Una volta dentro sei al sicuro, poi si vedrà. Vada per Casablanca, allora. Siamo d'accordo. Giorgio da il suo avvallo (è lui, comunque, il comandante). Ci sono settanta miglia e con mare e vento al traverso la nostra velocità aumenta fino a sette nodi. Dieci ore per arrivare. Iniziano già a fantasticare sui bar della casba e su caldi e fumanti tè serviti con arachidi e biscotti al miele. Fa bene avere un obiettivo.

La barca viaggia meglio, al traverso, anche se è difficile da tenere. Ci vuole tutto il nostro impegno. Messe a segno le vele e verificato che tutto sia a posto, torniamo a riposare. Giorgio prosegue il suo turno. Io, come sempre, prima di tornare in cuccetta mi faccio un giro delle sentine e della sala macchine. C'è acqua a prua, parecchia, entrata quando l'ho aperto per cercare la trinchetta e anche dalla cubia della catena dell'ancora, che andrebbe chiusa meglio. Ora non si riesce a evacuare. Ci ho provato, ma la pompa non aspira. C'è qualcosa che faccio male. Non riesco a ricordare come funziona il circuito. Del resto sono quattro anni che non navigo più sulla Rossa dei mari e forse Mattia, lo skipper che è stato a bordo in questo tempo, ha cambiato qualcosa. Non importa. Adriatica può sopportare qualche centinaio di litri senza troppi problemi. Del resto se non esco da questo buco caldo e rumoroso vomito sul motore.

Mi butto in cuccetta. Sento una quantità di odori orribili che non migliorano la mia nausea. Giovanni è riuscito ad addormentarsi, per fortuna. È un grande, Giò. Nella vita lavora in azienda all'ufficio personale, ma non lo dimostra. Nel senso che nella mia immaginazione quelli del personale sono un po' bacchettoni, rigidi, pignoli. Invece questo ragazzo è entusiasta, disponibile, allegro. Primo a muoversi se c'è qualcosa da fare, non si risparmia nelle manovre, anche se paga l'inesperienza. Un ottimo compagno di turno

Fuori è il caos. Certo, di tempeste ne ho viste ben altre. Questa è solo una forte burrasca, ma abbastanza pericolosa perchè non siamo pronti: io non ho verificato a dovere la barca prima di partire e Giorgio non ha avuto il tempo di farlo come avrebbe voluto e dovuto. Il mare chiede poi il conto di ogni cosa, anche della più piccola dimenticanza. Forse è per questo che i marinai, quelli veri, quando sono a terra anche negli affetti e nelle amicizie curano il particolare e danno attenzione, come se fosse l'ultima volta.
Adriatica incassa bene i colpi. La randa ridotta porta bene. Giorgio tiene duro. Quello che demoralizza, in questi casi, è non sapere quanto durerà e fino a che livello di furore potrà salire. Una delle sensazioni più gradevoli che ho provato è lo stare ormeggiato in porto o in un ancoraggio protetto, nella mia barca al caldo, sdraiato in dinette, sorseggiando qualcosa di caldo, luce soffusa, un libro o della musica, mentre fuori infuria la burrasca e il vento urla tra le sartie.

Il vento è inarrestabile e instancabile. Si getta all'assalto di ogni cosa, spinge le onde e ingrossa, le pregna di cattiveria, si ostina contro ciò che resiste. Da dove, tanta cattiveria?

 

Ore 8:00, al largo di Casablanca

Sotto costa il vento è diminuito un po' e il mare ha ceduto parte della sua forza. Giorgio vuole proseguire. Pensa che con motore e randa possiamo provare a scendere cavalcando le onde che ora sono più lunghe.

Pensa anche, ma non lo dice, che se toccassimo terra saremmo poi in ritardo per l'appuntamento a Tenerife, fissato per il 1 ottobre. E sa bene che il nostro equipaggio troverebbe qualunque scusa per rientrare in Italia da lì, evitandosi altre giornate di navigazione. Del resto sono in mare da Brindisi, acqua e ancora acqua, con una sola sosta di quattro ore a Palermo e una notte a Gibilterra.

Sono indeciso, perchè la previsione meteo da ancora burrasca 6 a 7 da Sud Ovest per almeno 24 ore. Poi accetto senza discutere, perchè alla peggio possiamo sempre fare un mezzo giro e tornare indietro. Questo mare, preso al giardinetto, non sarebbe così terribilmente sfiancante. Difficile, certo. Ma maneggevole.
Si va avanti.

Non mangio da 36 ore. Scendo e mi preparo un brodo caldo aggiungendo una scatoletta di Simmenthal per dare un po' di sostanza. Conosco qualcuno che non sarebbe contento dei miei digiuni. La sento mentre mi dice che dovrei mangiare. Ma in questo momento non ho voglia di ascoltarla, per quanto mi manchi enormemente. Ma dev'essere la stanchezza...!

 

Ore 16:00, latitudine 33 gradi Nord

Il mare comincia a scendere. Giorgio è compiaciuto della sua scelta e anche l'equipaggio inizia a essere più tranquillo. La barca si arrampica sulle onde faticosamente. Ogni tanto il rumore dell'elica che cavita avvicinandosi al pelo dell'acqua, dove c'è meno pressione, ci ricorda che la burrasca non si è placata. Piove spesso. Il cielo è coperto e la costa, che sfila a meno di venti miglia, si intravede appena. Ogni tanto delle ciminiere o una falesia.

Con il buio percepiremo meglio la presenza umana in questo tratto di Africa grazie - o a causa - della luce delle città costiere che illuminano dal basso le nuvole di piombo. Corrono a poche centinaia di metri di altitudine. Sembra che l'albero di Adriatica possa separarle, toccarle.

Maurizio e Antonio, fedeli, preparano la cena. Rinfranca sedersi insieme intorno al tavolo della dinette e mangiare insieme, uno accanto all'altro.

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