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Guadalupa l'isola "papillon"

20 April 2006 ore 15:30

I francesi la definiscono "papillon" per la sua forma come due grandi ali di farfalla ed è infatti questa la forma di Guadalupa, che fa parte dei Territori d’Oltremare della Francia (l’isola è controllata dai francesi dal 1635). Guadalupa venne così chiamato in onore dell’omonimo monastero francescano spagnolo e venne “scoperta” da Cristoforo Colombo durante il suo secondo viaggio nel 1493: pare che qui abbia assaggiato per la prima volta uno strano frutto, l’ananas, e lo abbia fatto conoscere, fortunatamente per noi, in Europa.

 

L’isola (1433 Kmq) è distinta in due parti, divise da un canale, il Rivière Salée, coperto di mangrovie: la Basse Terre e la Grande Terre. La prima è vulcanica e contiene il grande vulcano attivo Soufriere la cui eruzione nel 1976 portò all’evacuzione di parte degli abitanti dell’isola. Se il vulcano è spoglio, la Basse Terre è ricoperta da una fitta foresta pluviale dove abbondano le felci, lo zenzero e le eliconie fiorite; dal 1989 questa foresta, che comprende oltre 3000 specie di alberi, fa parte di un grande parco nazionale di 17.000 ettari (istituito nel 1989) e che è meta di un turismo ‘verde’ che cerca mete sicure. La foresta è infatti attraversata da senitieri segnati e sicuri, percorsi da trekking di livello europeo, come il Sentiero dei Contrabbandieri, il più famoso.

La Grande Terre è invece un pianoro calcareo (altezza massima 80 metri) che costituisce la parte agricola dell’isola. E’ qui che si è sviluppata, a partire dal Seicento, la coltivazione della canna da zucchero. Ci troviamo anche in questo caso di fronte al binomio che caratterizza le isole dei Caraibi (ma lo abbiamo trovato anche alle Canarie e a Capoverde): monocoltura della canna da zucchero e schiavi africani come manodopera, oro bruno per le tavole europee e braccia scure a sfinirisi di fatica nelle piantagioni tropicali.

Sappiamo l’anno in cui venne introdotta la canna da zucchero, il 1642, e pochi decenni dopo c’erano già 86 "ingenios" ossia mulini per frantumare la canna, importati nell’isola da ebrei cacciati dal Brasile dai portoghesi. Contesa fra francesi e inglesi nel Settecento (l’isola venne occupata per alcuni anni dagli inglesi che vi importarono subito 25.000 schiavi), Guadalupa era una pedina importante nella politica europea nei Caraibi, dove la rivalità fra Francia e Inghilterra era fortissima: non a caso ancora oggi un grosso cactus spinoso viene chiamato a Guadalupa “tete d’anglais”, una bella testa coriacea.


La schiavitù venne abolita definitivamente dopo la rivoluzione democratica in Francia nel 1848 e pochi anni dopo iniziarono ad arrivare i primi lavoranti a contratto indiani. Della grande stagione della canna resta la composizione della popolazione (65% di mulatti e 27% di neri), dai sentieri che ancora oggi attraversano ciò che resta delle piantagioni (ma attenzione alle foglie della canna che sono molto taglienti!), ma soprattutto dal rum, il prodotto principe della Guadalupa, che viene servito, con abbondanza, in caraffe di vetro, accompagnato da pezzi di frutta. Interessante è anche il Musée du Rhum (ma ne esiste anche uno del Cacao e uno del Bois), a documentare, secondo il modello francese, la storia “materiale” di un popolo, la distilleria Bellevue che produce il celebre rum Damoiseau e i resti dei mulini a vento (ingenios) che servivano per la canna.

L’altra grande attività economica era la pesca; non a caso Guadalupa è la seconda consumatrice mondiale di pesce per abitante. Non a caso il mare si presta a spettacolari immersioni che permettono di cogliere a pieno la biodiversità di questa isola (in particolare la Reserve Cousteau dal nome del celebre comandante). L’isola, a partire dalla capitale Point à Pitre (21.000 abitanti) è un luogo di incontro di culture, europea ed africana, chiesa cattolica e tempi vudu, così come anche la lingua è un francese creolo ("Siamo contenti di vedervi" rivolto agli ospiti, suona come “Nou contan voue zot”). Ovviamente i turisti americani ed europei vanno a Guadalupa soprattutto per il clima (che a gennaio non scende sotto i 20°) e le bellissime spiagge bianche.



I ragazzi della 4°A

Liceo scientifico tecnologico Mattei

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