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Iniziazione polinesiana a Omoa

12 July 2002 ore 20:00

Ad Omoa.

E' qui che veniamo iniziati alle usanze polinesiane: popolo che, come ci racconta la guida Roberto, capitano di catamarani tatuato, fece dell’amore un'arte. Tre signore accovacciate in costume locale illustrano le arti decorative di queste genti un tempo fortunate oltrechè dedite al cannibalismo. A Patrizio viene messa al collo fin dall’inizio una collana di pomodorini rossi, che fa molto condimento. Poi le signore, confezionato un bouquet di numerosi fiori e frutti, che ci spiegano essere afrodisiaco, glielo appendono al collo tra i pomodori.

Questi popoli si spalmavano di olii aromatici, le ragazze impregnavano i perizoma nell’olio aromatico e nel bouquet floreale, si dedicavano ai dettagli dell’amplesso quasi con la stessa meticolosità che mette un nostro pensionato nel bricolage o un commerciante nel frequentare un commercialista. Ripartiamo felici con la macchina piena di bouquets, e Patrizio in testa coi suoi pomidorini e il suo gioiello floreale. Alla fine della salita ci accorgiamo di essere inseguiti da un gregge di capre, e da molte giumente. Fortunatamente precipitiamo verso la barca, evitando i locali che ci inseguono guardando con concupiscenza Patrizio. Il capitano ci guardò strano e poi prese da parte il nostro Hemingway, in cabina. Devono aver parlato a lungo, quando sono usciti Pat era tutto scaruffato e il capitano sorrideva.

Per tutta la giornata il capitano e l’Ammiraglio hanno riparato il filo del cambio, lungo 11 metri, aprendo tutti i pavimenti della nave e rotolandosi tra i tubi muniti di grosse chiave inglesi. Il capitano ha saldato pezzi di ferro, li ha traforati con lo sguardo e con il trapano, ha obbligato la leva del cambio ad adattarsi al pezzo di ricambio, poi si è immerso sott’acqua con le bombole a 40 metri per trovare una cosa che aveva scordato il giorno prima nella tempesta e poi è salito sull’albero di 30 metri per controllare le scotte. Egli compie escursioni di 70 metri, dagli abissi alle cime, con una destrezza impressionante.

Poi abbiamo mangiato insieme sul ponte, verificando la tenuta dell’equipaggio: l’ammiraglio ha male a un dente dietro la testa, il marconista ha la labirintite, l’ufficiale di collegamento dolori alle gambe, l’operatore un callo al dito che usa per spingere il pispolo della telecamera. Domani andremo a Iva Hoa dove c’è un ospedale, e poi a Lourdes.

Io per sollevare il morale ho cantato una canzone polinesiana che dice così:


Peo peo vuehi atuà Meo Meo huia paapà

Hua hua toboga vahinè HiaHia pepperepè

 

E mi hanno di nuovo mandato a controllare i bulloni. Buonanotte, corpo di mille balene.

 

Davide Riondino

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