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Involuto e "abbananato"

11 July 2002 ore 20:00

Come avevo detto nel precedente diario, avevo dormito in amaca. Non capivo perché, ma quella sera era rimasta libera. Mi stavo cullando alla luce della croce del sud, quando ho sentito un sibilo accompagnato da una scarica breve e concentrata di vento: era il mezzo uragano delle nove, che in queste zone visita le baie più turistiche, in particolare questa che si chiama baia delle Vergini già baia delle Verghe, e poi vi spiegherò perché.

Insomma, l’usanza dei venti di qui denominati Alisei è raggiungere l’isola abbastanza blandi da ovest, risalirla, trovare in alto una temperatura più fredda, acquistare velocità, prendere la mira, e scapicollarsi dai mille metri d’altezza dell’isola per i valloni verdi e rocciosi, assai stretti, precipitando esattamente sulla nostra nave a una velocità di 30 o 40 nodi senza preavviso.

La mia amaca iniziò a rollare suggestivamente, centrata da due correnti potenti e contrarie, poi a vorticare come un bussolotto del lotto, e poi a girare su se stessa involvendomi nella rete spessa con un effetto banana inestricabile. Così involuto ed abbananato ho frullato per il resto della notte, lanciando segnali di allarme che il resto della ciurma non sentiva per via del fragore del vento. Io non vedevo nulla, ma a volte mi sembrava di sentire ridere. All’alba il vento è calato e sono riuscito a liberarmi dalla buccia, ma ero ancora verde.

Comunque pronto per la missione di oggi: raggiungere il paese vicino, si fa per dire, in jeep, scavalcando il monte, per incontrare i nativi e metterli in contatto con Patrizio Hemingway, che a quello che capisco deve essere in missione segreta. Orbene la jeep, guidata da un maoro grassottello, si è inerpicata per un mirabile paesaggio di palme, tipicamente da isola del Pacifico, sicuramente popolato di giapponesi in agguato. Credo che la nostra sia una missione militare, segretissima: deve esserci di mezzo un’arma segreta.

Forse il nemico sta studiando il cannone a vento, e noi dobbiamo riuscire a trovare il maledetto bocchettone del sifone, sulla montagna, e neutralizzarlo. Risaliamo a sobbalzi i tornanti verticali della montagna, circondati da gruppi di capre (o spie travestite) e giumente. Arrivati a una terrazza ventosa che quasi non si sta in piedi, si precipita per una discesa a picco ove il guidatore locale cerca di dimostrarci che la terra fa più paura del mare, e ci riesce. Arriviamo quindi ad Omoa, paesino raggiungibile in mezz’ora di gommone dalla nostra baia, dopo un’ora e mezzo di montagne russe tra picchi dolomitici pieni di palme verdi.

 

Davide Riondino

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